La Dottrina dei Padri e l'anarco-biocosmismo 1
di Alexsandr Svjatogor
1. Per noi che abbiamo sollevato lo stendardo di una nuova ideologia, la storia dell'anarchismo nella rivoluzione è interessante soprattutto riguardo al suo pensiero. Faremo riferimento alla corrente principale di questo pensiero, che si compone sul piano cronologico di due fasi.
Nella prima fase questo pensiero si mostra in debito senza condizioni con la Dottrina dei Padri. Aderisce a tale dottrina completamente e ciecamente. In quanto prigioniero della tradizione e acritico esso è monistico, motivo per cui si può utilizzare il concetto di «anarchismo monistico» come definizione appropriata di questa prima fase acritica.
La seconda fase, critica, nacque perché l'immediato salto nell'anarchia naufragò. La cruda realtà rivoluzionaria (del resto non può essere altrimenti) costrinse a rivedere il retaggio paterno.
Entrambe le fasi rivelarono da una parte l'insostenibilità della Dottrina dei Padri, dall'altra l'insostenibilità del pensiero anarchico in quanto tale. In seguito a ciò imbocco un vicolo cieco, dal quale secondo la nostra opinione solo il biocosmismo indica una via d'uscita.
2. Il conflitto del pensiero anarchico con la rivoluzione era una disputa su utopismo e realismo. Naturalmente l'utopismo si dimostrò inconsistente. La rivoluzione scaricò coloro che sostenevano la Dottrina dei Padri, soprattutto con la prospettiva tattica di un colpo. Tuttavia quando si comincia a dubitare della tattica, bisogna naturalmente mettere in dubbio pure la teoria. Il pensiero
andò avanti, fino alla revisione dell'ideologia, e dovette ammettere che la dottrina «aveva messo su pancia». E dal momento che così era, né una restaurazione né una riforma potevano esser d'aiuto. Ma il pensiero anarchico si era sottomesso ad un'autorità in maniera troppo forte, a discapito della propria creatività. In realtà avrebbe potuto scampare all'interno della propria dottrina alle proprie debolezze. Ma poiché debole e succube dell'autorità naufragò nel tentativo di uscire dal vicolo cieco.
La rivoluzione non significò solo la bancarotta del pensiero anarchico moderno. Significò pure la fine dell'anarchismo storico, perché lo spirito nuovo non può accontentarsi di concetti stretti e sopravvissuti. In questo modo la rivoluzione significò la necessità di un nuovo anarchismo (nella teoria e nella prassi). Ma superare la crisi, creare una nuova concezione e così indicare la via d'uscita dal vicolo cieco può farlo solo chi è indipendente dalla tradizione e libero dall'autorità, chi nel proprio creare e nei suoi assiomi rivela audacia rivoluzionaria.
Noi propaghiamo il biocosmismo - in opposizione al pensiero anarchico contemporaneo, vigliacco e debole - come un modo di pensare risoluto, audace e sano, come nuova concezione in opposizione alle dottrine del passato. Naturalmente non nutriamo alcuna grande speranza che il pensiero debole, anche quando dubita degli antenati, si rivolga a noi accogliendo il biocosmismo. Per fare ciò esso è troppo velleitario e meschinamente presuntuoso. Ma abbiamo tutti i motivi per sperare che le forze anarchiche fresche, sane e robuste, che hanno fatto l'esperienza della rivoluzione, si volgeranno al biocosmismo, e lo fanno già.
13.1 costrutti del vecchio anarchismo non hanno superato la prova del fuoco della rivoluzione. Ma né questo né un altro fuoco potrà mettere a fuoco e fiamme l'asse fondamentale della vita - la personalità umana vivente. Se gli edifici ideologici eretti su questa base vengono distrutti in un incendio, pure restano in piedi le fondamenta per nuovi edifici. Allo stesso tempo sorgono al posto degli edifici crollati con grande invaso, costruzioni grandiose che corrispondono alle esigenze del tempo e, cosa ancora più importante, alle esigenze della personalità (e della società).
14.1 nuovi edifici necessitano di un'estensione della base. Il concetto di personalità è inteso in modo troppo ristretto in tutte le vecchie concezioni anarchiche. Questa restrizione è un errore capitale delle dottrine anarchiche, per questa ragione queste dal primo giorno della loro esistenza non erano stabili internamente ed era solo questione di tempo fino a che il loro carattere illusorio venisse allo scoperto.
Nel vecchio anarchismo il problema della personalità non è stato tematizzato in modo adeguato. Ogni concezione si basa su di un concetto di personalità troppo unilaterale, superficiale. Al posto della personalità vitale è stata posta una persona sociopolitica, egoistica (Stiner) o altruistica (Godwin). Finora si è anche constatato in modo pseudoscientifico quanto piccolo e insignificante sia l'uomo (Kropotkin). Oppure si è concepita la personalità come dominatrice, come distruttrice e se ne è sminuito il carattere positivo, creativo. Con una parola non si è posta alla base la personalità, ma un'astrazione unilaterale della personalità.
La personalità è stata concepita nella sua staticità, in un cerchio ristretto dalla vita alla morte e non nel suo dinamismo, nella crescita delle sue forze creatrici. In rapporto alla personalità la morte è stata vista da tutte le dottrine anarchiche come assolutamente importante (È curioso che il pensiero anarchico
che protesta contro le autorità, non a sia levato contro l'autorità della morte).b personalità è stata considerata aldilà della sua spinta profonda verso l'immortalità e dunque aldilà della sua reale creatività.
Il vecchio anarchismo non aveva una rappresentazione positiva della personalità, ma piuttosto una negativa. Credeva di affermare la personalità, in realtà vi rinunciava e ne esprimeva cattive rappresentazioni, oscurò l'uomo vivente, lo lasciò al buio e lo sostituì con un'astrazione. Nella misura in cui l'anarchismo riduceva l'uomo e contemporaneamente trascurava il suo destino personale, lo condusse alla catastrofe individuale e sociale.
In ciò consiste l'errore fondamentale - un errore nelle fondamenta - di tutte le concezioni anarchiche. La radice era troppo striminzita e dunque anche le concezioni erano striminzite, unilaterali, astratte, prive di vita e utopistiche.
15. Noi non affermiamo la coscienza individuale nuda, non il volto sociopolitico, non l'egoista o l'altruista, non la maschera o l'astrazione, ma piuttosto la personalità umana vivente. Questa non si crea nell'egoismo o nell'altruismo. Non si infila in ogni astratto ambito. Alla sua base c'è l'istinto dell'immortalità, la spinta verso una vita e una creatività eterne. Essa cresce nelle sue forze creatrici fino a che si manifesta nell'immortalità e nel cosmo. La nuova concezione non deve rivelare e affermare un'astrazione, bensì l'uomo reale, vivente.
L'uomo non è un piccolo essere con un ridicolo desiderio di infinito onnicomprensivo, come affermò quasi scientificamente Kropotkin, collegandosi alla svolta copernicana in astronomia (lo stesso ritenevano lo slavofilo Danilevzkij e Spengler, che oggi fa tanto rumore). Davanti all'uomo si aprono grandi prospettive, come non se ne sono mai date. La lotta contro la morte non è per principio impossibile (esperimenti di Steinach, Andreev, Kravvov tra gli altri). La possibilità dell'immortalità (immortalismo) si lascia già fondare scientificamente, e le conquiste della fisica e della tecnica offrono la base per la considerazione scentifica della questione cosmica (interplanetarismo.
16. Il bene più alto è la vita immortale nel cosmo. Il peggior male è la morte. Intendiamo qui la vita reale e la morte reale. Tutti gli altri beni sono inclusi nella vita, ogni male affonda le sue radici nella morte. Quando si deduce la libertà dalla «necessità naturale» e si postula il diritto dell'uomo all'esistenza eterna nel cosmo, il biocosmismo diventa la questione della libertà massima e del massimo diritto della personalità.
Il bene più alto lo postuliamo come qualcosa che deve essere immediatamente realizzato - come creatività massima. Del biocosmismo sottolineiamo soprattutto il momento creativo. L'immortalità personale non è data, essa deve essere contesa, realizzata, creata. Si tratta qui non della resistenza dei perdenti, come ritiene la Bibbia, ma della creazione di coloro che non ci sono mai stati. Non ripristino ma creazione. Lo stesso vale per la conquista del cosmo. Immortalismo e interplanetarismo sono la meta massima, ma non ultima. Sono tappe, mezzi sulla via della creazione smisuratamente meravigliosa. Ma questa meta sta ancora davanti a noi e per questo è la più importante.
La nostra meta (la realizzazione della immortalità personale, la vita nel cosmo, la resurrezione) esclude una mistica che ci condurrebbe al caos e al vuoto. Questo è un compito della coscienza realistica. Ma noi non identifichiamo la meta con l'essere né costruiamo su datità, altrimenti dovremmo rinunciare a libertà, creatività e personalità.
Il biocosmismo sconfigge lo scetticismo e libera la creatività umana, nella misura in cui le attribuisce una forza inverosimile e uno slancio potente. Esso è un faro che guida gli uomini, esso è il fondamento e il filo rosso per le disposizioni personali e sociali. Solo il biocosmismo può definire e regolare l'intera società.
17. La vecchia società crolla. Vive la sua estate di san Martino, sfuggita al
tramonto l'orrore della notte le sta davanti. Il nostro compito è di creare sulla base della grande meta del biocosmismo una nuova vita, un nuovo essere, una nuova cultura.
La moderna società (civile) porta alla morte, si basa sulla morte. Poiché l'uomo oggi è mortale, lei considera l'assoluta morte della personalità. Essa è guastata dalla formula «la morte è ineludibile». Questa formula è stata sancita dalla religione e dalla coscienza scientifica antica. Questa formula ha fatto svanire presso l'uomo lo spirito dello sdegno di fronte alla morte. Quando la società moderna concepisce la morte e la fissazione nello spazio, sancisce tutti i mali della vita sociale. Se questo dovesse accadere ancora l'umanità sarebbe minacciata da una completa degenerazione fisica e morale. Una società siffatta deve essere distrutta fin nelle fondamenta.
La società deve fondarsi sul principio del biocosmismo. Quando una società afferma il diritto fondamentale di ciascuno alla vita eterna, non può sopportare una divisione in sfruttati e sfruttatori, schiavi e signori. Essa garantisce un massimo di sviluppo individuale e considerazione di sé. Sarà altamente armoniosa, sulla base dell'unità dell'ideale delle sue parti costitutive. Quando le idee del biocosmismo diventano conquiste di ciascuno (il contrario è impossibile) la società abbandona il suo potere, perché la sua idea fondamentale sarà da ciascuno realizzata liberamente.
Noi affermiamo l'unità totale a proposito della nostra meta. La lotta per l'immortalità individuale, per la vita nel cosmo è la volontà di tutti. Allo stesso tempo è da superare la localizzazione e fissazione nel tempo (la morte) e nello spazio non mediante sforzi individuali. Da qui deriva la necessità di solidarietà sociale. Solo l'unità nella grande meta garantisce la vittoria sulla morte e il cosmo. La lotta per l'immortalità e la vita nel cosmo è la vera base del nuovo essere sociale.
18. Nella nuova società gli uomini non si riuniscono sulla base di una costrizione, ma perché sono consapevoli della grossa meta comune. Una società che realizza l'inter-planetarismo e contrasta la morte sarà affermata da tutti, visto che realizza il massimo bene di ognuno. La meta massima comune esclude che si ricada a causa di qualcun altro nelle piccole mete. Per questo la fedeltà ad essa non deve essere regolata mediante un contratto (Proudhon). La volontà individuale e la cosa si ripetono qui all'infinito tra i compagni di lotta, allo stesso tempo ogni passo aumenta la potenza individuale in direzione del biocosmismo. Questa società è una «pistola o una spada, con cui tu rafforzi la tua forza naturale». Noi affermiamo l'individualità come anche la comunità più fortemente degli altri. Più forte il pendolo batte in una direzione, più forte è la sua ampiezza nell'altra. Quanto più siamo estremi individualisti, tanto più estremi siamo davanti alla comunità.
19. La nuova società non consta di piccole comunità o bande che «non provano alcun bisogno di espandersi» (Godvvin). Il vecchio pregiudizio e il pensiero errato dei piccoli spazi devono essere pensati come un obsoleto atavismo e come eredità del medioevo. Al gradino superiore c'è il massimo dello spazio. L'unità onnicomprensiva dell'uomo può realizzare le grandi idee solo in grandi spazi. La società biocosmica è globale e planetaria.
20. La società biocosmica è propria della libertà massima. Il problema richiede all'uomo una libertà inquietante. L'uomo (l'umanità) non era mai stato tanto affidato a sé stesso come nel biocosmismo. Non può sperare in Dio, in una vita dopo la morte. Egli vede la morte davanti a sé come una normale realtà e deve sconfiggere da solo senza aiuti estemi questo male, in un modo reale, seguendo una strada propria.
21. Nel biocosmismo gli uomini si alleano come compagni di lotta. La comunità di lotta è il contrario della fratellanza in quanto relazione di scambio non creativa.
Nella fratellanza i rapporti sono già dati, predeterminati dalla natura, per questo non sono creativi. Nel rapporto dei compagni di lotta al contrario niente è dato in anticipo, piuttosto si desidera e si è creativi. La fratellanza è un principio conservatore. Nella nostra tempesta di lotta per l'immortalità e il cosmo noi non affermiamo la fratellanza, ma la comunità di lotta.
22. Sul cammino del biocosmismo noi ci appoggiamo alla rivoluzione, all'azione al patos della classe rivoluzionaria. Il biocosmismo è nato nell'esplosione della rivoluzione - così noi siamo legati inseparabilmente con la rivoluzione, che è la nostra forza. L'ordine biocosmico delle cose entrerà in gioco dopo la vittoria della rivoluzione. Lo scopo della rivoluzione consiste nell'annientamento delle classi, che rappresenta una premessa imprescindibile perché la questione del biocosmismo venga proposta in misura globale. Tuttavia il biocosmismo in quanto programma massimo può già da ora promuovere l'unità, l'ispirazione e la vittoria della classe rivoluzionaria.
23. Presupponendo che lo stato si incamminerà sulla strada del biocosmismo, noi mettiamo l'accento sulla necessità di un rapporto positivo col sistema sovietico. Lo stato sovietico non va confuso con Io stato borghese. Da una parte i soviets rappresentano una organizzazione necessaria della lotta rivoluzionaria contro il vecchio mondo. Dall'altra parte si sono assunti la funzione di lottare contro la natura, cioè portano in sé la tendenza al biocosmismo.
Nel periodo di transizione i soviets non possono naturalmente divenire organi a tempo pieno della lotta contro il giogo della natura. Essi devono adempiere alla funzione della lotta con il mondo antico nella forma di una dittatura. Da qui deriva una certa costrizione, ma tale costrizione è di tipo completamente diverso rispetto a quella presente in uno stato borghese. Tutte le accuse contro lo stato come sistema di violenza e oppressione della libertà individuale sono prive di senso riguardo allo stato sovietico.
La vecchia forma stato apparterrà presto al passato. La nuova forma sovietica è diversa per fini e mezzi. Il sistema sovietico, che innanzitutto garantisce la liberazione dell'uomo dal giogo della natura esterna, promuove ora il risveglio della coscienza, liberando la personalità dal peso della tradizione. Come risultato della sovietizzazione cresce la coscienza della libertà umana e della responsabilità. Nei soviets gli uomini sono legati l'un l'altro sulla base della coscienza che la lotta presente richiede disciplina. Nei soviets l'uomo impara a rispettare se stesso e gli altri, mentre la società borghese, in quanto società di signori e schiavi, esclude la necessaria attenzione reciproca.
Nella misura in cui con la vittoria della rivoluzione la funzione della lotta contro il vecchio mondo svanirà, nello stato sovietico la funzione della lotta contro il giogo della natura guadagnerà significato. Le due funzioni che caratterizzano il cammino verso il biocosmismo, sono vicine, la questione dell'immortalismo e dell'universo devono essere messe già da oggi all'ordine del giorno.
(trad. it. dal tedesco di Tristana Dini)
Note
1 Svjagotor, Aleksandr, Doktrina otcov i anarchizim-biokosmism, in Biokosmist, 3-4, Mosca 1922, p. 3-21, estratti.
DA La Rosa di nessuno N 5 2010 Mimesis
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