mercoledì 1 agosto 2012

Toni Negri Michel Hardt Calibano si ermancipa dalla dialettica


Nel corso della modernità, spesso nell’ambito dei progetti più radicali della razionalizzazione illuministica, i mostri continuano a saltare fuori. In Europa, da Rabelais a Diderot e da Shakespeare a Mary Shelley, i mostri sono indicativi di sublimi sproporzioni ed eccessi, come se le dimensioni della modernità fossero troppo anguste per contenere il loro straordinario potere creativo. Anche al di fuori dell’Europa, le forze dell’antimodernità sono trasformate in mostri per imbrigliare la loro potenza e per legittimare il dominio su di loro. I resoconti sui sacrifici umani consumati dagli amerindi servirono come prova per legittimare le follie e le crudeltà degli spagnoli allo stesso modo in cui, più tardi, furono utilizzate le descrizioni delle atrocità dei cannibali in Africa. La caccia, i processi e i roghi delle streghe che si verificarono in gran parte dell’Europa e in America nel XVI e nel XVII secolo costituiscono altri esempi di forze dell’antimodernità cacciate nell’inferno dell’irrazionalità e della superstizione da cui minacciano la religione e la ragione. La caccia alle streghe si era diffusa nelle aree dove la lotta dei contadini era stata particolarmente violenta e colpiva le donne che avevano contrastato con più determinazione il colonialismo, il comando capitalistico e il dominio patriarcale. 
Nel corso della modernità, spesso nell’ambito dei progetti più radicali della razionalizzazione illuministica, i mostri continuano a saltare fuori. In Europa, da Rabelais a Diderot e da Shakespeare a Mary Shelley, i mostri sono indicativi di sublimi sproporzioni ed eccessi, come se le dimensioni della modernità fossero troppo anguste per contenere il loro straordinario potere creativo. Anche al di fuori dell’Europa, le forze dell’antimodernità sono trasformate in mostri per imbrigliare la loro potenza e per legittimare il dominio su di loro. I molte difficoltà con i propri mostri che cerca di scacciare in ogni modo come delle mere illusioni, degli autoinganni di un’immaginazione sovreccitata: «Perseo usava un manto di nebbia per inseguire i mostri» scrive Marx. «Noi ci tiriamo la cappa di nebbia giù sugli occhi e le orecchie per poter negare l’esistenza dei mostri.»531 mostri sono reali. Faremmo bene ad aprire gli occhi e a sturarci le orecchie per capire quello che hanno da dirci sulla modernità.

Max Horkheimer e Theodor Adorno hanno cercato di affrontare i mostri dell’antimodemità - l’irrazionalismo, il mito, il dominio e la barbarie - e di riportarli all’interno di una relazione dialettica con l’illuminismo. «Non abbiamo il minimo dubbio» così scrivevano «ed è la nostra petizione di principio, che la libertà nella società è inseparabile dal pensiero illuministico. Ma riteniamo di aver compreso, con altrettanta chiarezza, che il concetto stesso di questo pensiero, non meno delle forme storiche concrete, delle istituzioni sociali cui è strettamente legato, implicano già il germe di quella regressione che oggi si verifica ovunque.»54 Essi videro nella modernità un intreccio inestricabile con il suo contrario che avrebbe condotto ineluttabilmente all’autodistruzione della ragione. Horkheimer e Adorno, scrivendo dal loro esilio negli Stati Uniti agli inizi degli anni Quaranta, stavano cercando di capire le ragioni del trionfo del nazismo in Germania e le origini della miscela di barbarie e di razionalità che lo caratterizzava. Si resero così conto che i nazisti non rappresentavano un’anomalia, ma un sintomo della natura stessa deila modernità. Anche i proletari erano soggetti alla medesima dialettica, i progetti di emancipazione e razionalizzazione sociale risultavano ugualmente funzionali alla creazione di un mondo totalmente amministrato. Per Horkheimer e Adorno non c’era all’orizzonte alcuna
prospettiva di risoluzione di questa dialettica, ma solo un’interminabile frustrazione degli ideali della modernità sino all’ineluttabile degradazione nel loro opposto. Alla fine, invece di veder realizzata una nuova condizione dell’umanità, ci ritroviamo ricacciati in un nuovo baratro di barbarie.

Gli argomenti di Horkheimer e di Adorno sono straordinariamente importanti per la loro capacità di abbandonare una volta per tutte la linea del ideologismo modernista che aveva caratterizzato la storia del marxismo. A nostro parere, tuttavia, nel loro tentativo di dare una forma dialettica al rapporto tra modernità e antimodernità hanno commesso due errori. In primo luogo, nelle loro analisi essi tendono a omogeneizzare le forze dell’antimodernità. Alcune espressioni dell’antimodernità, come il nazismo, erano delle forze demoniache che si proponevano di schiavizzare intere popolazioni, altre sfidarono le strutture della gerarchia e della sovranità esprimendo delle figure di incontenibile libertà. Il secondo errore consiste nell’aver chiuso questa relazione nella dialettica. In questo modo, Horkheimer e Adorno hanno messo in scena l’antimodemità come una forza che fronteggia la modernità opponendosi a essa o agendo come una contraddizione. In tal senso, la dialettica, da principio di movimento, costringe la relazione tra modernità e antimodernità in uno stallo. In tal senso, Horkheimer e Adorno non vedono alcuna via d’uscita all’eterna oscillazione tra gli opposti in cui è costretta la sorte dell’umanità. A nostro avviso, il problema dipende sostanzialmente dall’incapacità di discernere le differenze all’interno delle figure dell’antimodernità. Le più potenti tra queste forze, quelle che ci interessano maggiormente, non sono in una relazione specularmente negativa con la modernità, bensì si muovono su traiettorie trasversali. Da ciò non si deve concludere che esse si oppongono a tutto ciò che è moderno o razionale, ma che sono impegnate a creare nuove forme di razionalità e nuove forme di liberazione. Occorre svincolarsi dal circolo vizioso creato dalla dialettica di Horkheimer e Adorno Per poter vedere in che misura i mostri creativi e felici dell’antimodernità, i mostri della liberazione, eccedono il dominio della moderata e per rendersi conto in che misura il loro stesso essere è indicati-Vo di una prospettiva alternativa.

Un modo per emanciparsi dalla dialettica è osservare la relazione

essa sottende dal punto di vista dei mostri della modernità. Caligano, il mostro deforme della Tempesta, è un potente esempio del nativo colonizzato nelle sembianze di un mostro terribile e minac-
zione, Calibano è dotato di altrettanta ragione e civiltà del colonizzatore, è un essere mostruoso solo nella misura in cui il suo desiderio di libertà eccede i limiti del biopotere coloniale e per questo egli può far saltare le catene della dialettica.

L’incontro con la selvaggia potenza dei mostri ci riporta a un altro momento della filosofia moderna che, attraverso le espressioni del razzismo e della paura dell’alterità, mette ulteriormente in evidenza la potenza dei mostri. Spinoza riceve una lettera dall’amico Peter Bal-ling il quale gli racconta che ,dopo la recente morte del figlio, egli continua a sentirne la voce che tormenta le sue notti. Spinoza risponde all’amico con uno strano esempio ricavato dalle sue personali esperienze allucinatorie: «Svegliandomi un mattino alle prime luci del giorno da un sonno assai pesante, le immagini che mi avevano assalito nel sogno persistevano davanti ai miei occhi con altrettanta vivacità come se fossero oggetti reali e specialmente la figura di un nero e irsuto brasiliano che io non avevo mai visto».38 La prima cosa da osservare a proposito di questa lettera è la costruzione dell’immagine razzista del nero e irsuto brasiliano come una sorta di Calibano, immagine che probabilmente deriva dalle conoscenze di seconda mano di Spinoza dell’esperienza dei mercanti e degli imprenditori olandesi, in particolare di origine ebraica, che avevano fatto affari in Brasile nel XVII secolo. Spinoza non è naturalmente l’unico filosofo moderno ad adoperare delle espressioni e a dipingere delle immagini razziste. Molti tra i maggiori esponenti del canone filosofico occidentale, Kant e Hegel ad esempio, non solo parlano dei non europei e in particolare dei neri come esemplari della sragione, ma impiegano molti argomenti per giustificare le limitate capacità mentali di questi ultimi.39 Se ci limitiamo a leggere la lettera attraverso questa lente di ingrandimento perdiamo di vista l’aspetto più interessante del mostro di Spinoza dato che il filosofo prosegue il suo discorso dicendo che il mostro per lui raffigura la potenza stessa dell’immaginazione. Per Spinoza, l’immaginazione non è la fonte delle illusioni, ma una grande forza materiale. È un campo aperto di possibilità in cui riconosciamo ciò che è comune tra i corpi, tra le idee. Le nozioni comuni sono i blocchi da costruzione della ragione e gli strumenti che ci permettono di far crescere indefinitamente la nostra potenza di pensare e di agire. L’immaginazione, per Spinoza, è tuttavia sempre eccessiva e trascendente i libiti ordinari della conoscenza e del pensiero. Nondimeno essa pre-sentifica la possibilità di trasformarci e di liberarci. Il mostro brasiliano, oltre a essere il sintomo di una mentalità colonialista, è una figura
zione, Calibano è dotato di altrettanta ragione e civiltà del colonizzatore, è un essere mostruoso solo nella misura in cui il suo desiderio di libertà eccede i limiti del biopotere coloniale e per questo egli può far saltare le catene della dialettica.

L’incontro con la selvaggia potenza dei mostri ci riporta a un altro momento della filosofia moderna che, attraverso le espressioni del razzismo e della paura dell’alterità, mette ulteriormente in evidenza la potenza dei mostri. Spinoza riceve una lettera dall’amico Peter Bal-ling il quale gli racconta che ,dopo la recente morte del figlio, egli continua a sentirne la voce che tormenta le sue notti. Spinoza risponde all’amico con uno strano esempio ricavato dalle sue personali esperienze allucinatorie: «Svegliandomi un mattino alle prime luci del giorno da un sonno assai pesante, le immagini che mi avevano assalito nel sogno persistevano davanti ai miei occhi con altrettanta vivacità come se fossero oggetti reali e specialmente la figura di un nero e irsuto brasiliano che io non avevo mai visto».38 La prima cosa da osservare a proposito di questa lettera è la costruzione dell’immagine razzista del nero e irsuto brasiliano come una sorta di Calibano, immagine che probabilmente deriva dalle conoscenze di seconda mano di Spinoza dell’esperienza dei mercanti e degli imprenditori olandesi, in particolare di origine ebraica, che avevano fatto affari in Brasile nel XVII secolo. Spinoza non è naturalmente l’unico filosofo moderno ad adoperare delle espressioni e a dipingere delle immagini razziste. Molti tra i maggiori esponenti del canone filosofico occidentale, Kant e Hegel ad esempio, non solo parlano dei non europei e in particolare dei neri come esemplari della sragione, ma impiegano molti argomenti per giustificare le limitate capacità mentali di questi ultimi.39 Se ci limitiamo a leggere la lettera attraverso questa lente di ingrandimento perdiamo di vista l’aspetto più interessante del mostro di Spinoza dato che il filosofo prosegue il suo discorso dicendo che il mostro per lui raffigura la potenza stessa dell’immaginazione. Per Spinoza, l’immaginazione non è la fonte delle illusioni, ma una grande forza materiale. È un campo aperto di possibilità in cui riconosciamo ciò che è comune tra i corpi, tra le idee. Le nozioni comuni sono i blocchi da costruzione della ragione e gli strumenti che ci permettono di far crescere indefinitamente la nostra potenza di pensare e di agire. L’immaginazione, per Spinoza, è tuttavia sempre eccessiva e trascendente i libiti ordinari della conoscenza e del pensiero. Nondimeno essa pre-sentifica la possibilità di trasformarci e di liberarci. Il mostro brasiliano, oltre a essere il sintomo di una mentalità colonialista, è una figura
espressiva della potenza selvaggia ed eccessiva dell’immaginazione. Se riduciamo la pluralità delle figure dell’antimodemità a una piatta dialettica di opposte identità perdiamo completamente le potenzialità liberatorie della loro mostruosa immaginazione.60

E vero, e continua a esserlo, che sono esistite e continuano a esistere delle forze dell’antimodernità che non hanno nulla di liberatorio. Horkheimer e Adorno hanno perciò ragione quando vedono nel progetto nazista un’antimodernità reazionaria. La stessa aberrazione la vediamo in opera nei tanti fenomeni di pulizia etnica, nei deliri supre-matisti del Ku Klux Klan, e nelle allucinazioni di dominio dei neoconservatori americani. Il fattore antimoderno di questi fenomeni è costituito dal tentativo di rompere la relazione che è a fondamento della modernità per liberare il dominatore dalla necessità di dover avere a che fare con il dominato. Le teorie della sovranità, da Donoso Cortés a Cari Schmitt, sono antimoderne nella misura in cui si ripropongono di rompere la relazione della modernità e di porre fine ai conflitti che la caratterizzano per liberare il sovrano. La cosiddetta autonomia della politica proposta da queste teorie è l’autonomia dei dominatori dai dominati, finalmente liberi dalle sfide e dalle resistenze degli assoggettati. Questo sogno è ovviamente un’illusione dato che i dominatori non potrebbero sopravvivere senza i soggiogati, come ebbe modo di riconoscere Prospero, così come il capitale non potrebbe sopravvivere senza quei noiosi operai! Il fatto che sia un’illusione non toglie che essa continui ancora oggi a provocare terribili tragedie. I mostri sono la stoffa di cui sono fatti gli incubi.

Quanto detto assegna ancora due compiti alla nostra analisi delle forze dell’antimodernità. Il primo è quello di stare bene attenti a distinguere, da un lato, le declinazioni reazionarie dell’antimodernità con cui si cerca di rompere la relazione che sta alla base della modernità per liberare la sovranità, dall’altro, le declinazioni libertarie dell’antimodernità che sfidano e sovvertono le gerarchie con la resistenza per espandere la libertà dei subordinati. Il secondo compito è quello di riconoscere che la resistenza e la libertà eccedono sistematicamente i rapporti di dominio e non possono essere recuperate da una dialettica con i poteri della modernità. I mostri possiedono la chiave di nuovi poteri creativi che oltrepassano l’opposizione tra modernità e antimodernità.

Nessun commento:

Posta un commento